A cura di: Dott.ssa Francesca Bichiri, Assegnista di Ricerca presso il Dipartimento di Giurisprudenza, Unito

Le procedure concorsuali destano sempre più interesse per gli operatori del finanziamento delle liti da parte di terzi. Che sia un settore di particolare convenienza per i funders stranieri è un dato acquisito: sono molto le società che se ne occupano, come Burford Capital, Omni Bridgeaway, Therium Group Holdings.

Oltre a risultare come un settore potenzialmente “florido” per i finanziatori interessati al mercato italiano, si tratta anche di una soluzione particolarmente vantaggiosa per la stessa procedura fallimentare. Infatti, considerando che il rischio e i costi della lite sono assunti dal soggetto terzo, da un lato, le procedure illiquide potrebbero comunque accedere al rimedio giurisdizionale in un’ottica di ricostituzione del patrimonio e, dall’altro, le procedure liquide non dovrebbero attingere all’asse fallimentare per finanziarie il contenzioso, a vantaggio quindi della procedura stessa e della massa dei creditori.

Un profilo di sicuro interesse per gli operatori del finanziamento delle liti che guardano alle procedure concorsuali è individuabile nella cessione dei diritti di causa. Bisogna però precisare che la cessione dei diritti di causa si differenzia dal tradizionale schema del Third Party Litigation Funding, in quando il cessionario acquista dal cedente la titolarità del diritto controverso (ossia oggetto di causa, il c.d. diritto litigioso), non limitandosi a finanziare la lite.

In ogni caso, si tratta di un mezzo per la realizzazione della liquidazione dell’attivo, infatti, il curatore è chiamato a monetizzare le pretese risarcitorie e revocatorie del fallito. La scelta di percorrere tale strada comporta degli innegabili vantaggi per la procedura, giacché se, da un lato, è vero che il prezzo della cessione sarà certamente inferiore rispetto al diritto vantato in giudizio, dall’altro, i tempi necessari alla liquidazione dell’attivo fallimentare possono essere sensibilmente ridotti, evitando, peraltro, di dover destinare parte delle risorse alla gestione dei costi di causa. Inoltre, la possibilità di realizzare più rapidamente il programma di liquidazione, incentiverà anche il curatore a prediligere la cessione in massa dei crediti. Il vantaggio, poi, per il ceto creditorio è evidente: per questa via possono, infatti, assicurarsi il sicuro realizzo di almeno una parte del proprio credito in tempi più rapidi.

Nella procedura fallimentare, le norme di riferimento che facoltizzano tale operazione sono gli artt. 106 (cessione c.d. autonoma) e 124, co. 4 (cessione c.d. “concordataria”), i quali, rispettivamente si riferiscono alla cessione delle “azioni revocatorie concorsuali” e delle “azioni di pertinenza della massa”.

Da queste norme, dunque, deriva l’oggetto del contratto di cessione.

Con “azioni revocatorie concorsuali” si fa riferimento non solo alle azioni revocatorie “fallimentari” disciplinate all’art. 67 l. fall., ma anche alle azioni revocatorie “ordinarie” previste invece dal codice civile richiamato dall’art. 66 l. fall., oltre alle azioni di inefficacia di cui agli artt. 64 e 65 l. fall. Secondo l’orientamento prevalente, la cessione non avrebbe l’effetto di far acquistare il bene nel patrimonio del cessionario, ma solamente la possibilità per quest’ultimo di sottoporlo ad esecuzione forzata, giacché dalla revocatoria deriva solamente l’inefficacia dell’atto traslativo nei confronti dei creditori, ma non il ritorno del bene nell’attivo patrimoniale.

Al contrario, le “azioni della massa” sono tutte quelle azioni dirette alla reintegrazione del patrimonio del debitore inteso come garanzia generica di tutti i creditori, potendosi quindi annoverare oltre alle azioni revocatorie anche le azioni di responsabilità e di risarcimento del danno a titolo contrattuale o extracontrattuale.

Le due cessioni si distinguono altresì dal punto di vista operativo.

Infatti, per la cessione autonoma è necessario che l’azione revocatoria ceduta sia già pendente, onde evitare che venga esercitata a fini speculativi. La pendenza dell’azione è determinata dalla notifica del relativo atto di citazione al convenuto in revocatoria.

Sotto il profilo processuale, la pendenza dell’azione comporta che, con la successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c. per effetto della cessione, il procedimento possa continuare tra le parti originarie, consentendo dunque al curatore di rimanere in giudizio salvo venga estromesso a seguito dell’intervento del cessionario. La sentenza produrrà comunque i suoi effetti nei confronti del cessionario. Peraltro, la chiusura del fallimento non determina in ogni caso l’improcedibilità dell’azione, in quanto ciò è impedito dalla successione a titolo particolare del cessionario, al più verificandosi un’ipotesi di interruzione ex art. 300 c.p.c., qualora quest’ultimo non sia intervenuto in giudizio.

La cessione concordataria può operare nel caso di liquidazione dell’attivo tramite concordato fallimentare. Essa presuppone che uno o più creditori o un terzo presentino la proposta di concordato, la quale dovrà indicare la cessione dell’azione con precisazione dell’oggetto e del fondamento della pretesa. L’azione, in questo caso, è sufficiente che sia già stata autorizzata dal giudice delegato al momento della presentazione della proposta di concordato. Peraltro, il proponente può limitare gli impegni del concordato ai creditori ammessi al passivo e a quelli che hanno proposto opposizione allo stato passivo o presentato domanda di ammissione tardiva.

Trattandosi anche in questa ipotesi di una successione a titolo particolare del cessionario nel diritto controverso, qualora l’azione fosse già pendente, gli effetti sulle parti processuali sono i medesimi. Tuttavia, in questo caso, si pone il problema dell’eventuale risoluzione ex art. 137 l. fall. o annullamento ex art. 138 l. fall. del concordato, con conseguente riapertura del fallimento. Sembra preferibile l’opinione che, anche in questa ipotesi, vede il curatore succedere (a titolo particolare) nella posizione del cessionario, con prosecuzione del giudizio tra le parti originarie, fino all’intervento del curatore ed estromissione del cessionario.

La cessione autonoma e la cessione concordataria operano non solo nel fallimento, ma anche nell’ambito della liquidazione coatta amministrativa ex art. 194 ss. l. fall.

Tuttavia, mentre l’art. 124 l. fall. disciplinante la cessione concordataria è espressamente richiamato dalla citata disciplina all’art. 214 l. fall., la cessione autonoma da parte del commissario liquidatore, secondo l’opinione prevalente, si ritiene ammissibile solo in via interpretativa, entrambe con i necessari adattamenti dettati dalla diversità di tale procedura rispetto al fallimento.

Infine, la cessione dei diritti di causa è ipotizzabile anche nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria disciplinata dal d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, il quale richiama l’art. 214 l. fall. sopra indicato ed effettua un rinvio generale alle norme della liquidazione coatta amministrativa per quanto non previsto.

Per concludere, pare opportuno notare come la riforma del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza non apporterà sostanziali modifiche alla disciplina sopra rappresentata, giacché le norme indicate paiono essenzialmente riproposte nel d.lgs. 14/2019.